giovedì 13 novembre 2008

Riflessioni sul treno...


Di nuovo sul treno, di nuovo assalita dall’ansia. Di nuovo in viaggio, di nuovo con la testa piena di pensieri. Alcune volte guardando il mondo da una scatolina di sardine mi metto a riflettere sulla vita, sull’importanza o meno di eventi, persone, cose… Mi rendo conto che alla fine sono insignificante per l’insieme, ma nello stesso momento sono importante per i singoli. Sono cosciente del fatto che con questa affermazione non ho scoperto l’America, ma è difficile sentirsi solo un granello di sabbia in un infinito deserto.

Ultimamente, anche se sono circondata da tante persone mi sento sola e vulnerabile, è una solitudine che viene dall’interno, dal cuore. Non so spiegarmi il motivo, ma è questo che sento. Sicuramente qualcosa mi abbia influenzato, qualche evento abbia provocato in me questa sensazione. Allora perché non riesco a capire cosa sia? Come prima cosa potrei ricollegarmi al fatto di aver cambiato l’ambiente: non sono più una liceale, non faccio più parte di quella cerchia di persone che frequentano il liceo, adesso sono diventata un’universitaria. Però non ho tagliato i ponti con il passato, sono sempre in contatto con le persone che hanno fatto parte della mia vita in questi ultimi cinque anni. In più, subito dal primo giorno, ho conosciuto delle persone all’università che col tempo ho imparato ad apprezzare. E poi c’è la mia squadra. Anche se durante i primi allenamenti dopo il rientro dalla Polonia mi sentivo spaesata, persa, sembrava quasi che ognuna di loro ce l’avesse con me. Questa però era solo una sensazione, che anche in quanto tale mi ha fatto star male: mi sentivo esclusa dal gruppo, indifferente alle persone che ne facevano parte. Erano due settimane in cui stavo veramente male. In più, come l’aggravante di tutta questa situazione, vi erano dei problemi a casa: sono ritornati vecchi rancori, non ci si parlavano più, ci si ignorava a vicenda, e io, la figlia/sorella che è sempre disponibile, non si lamenta mai, fa le cose che le vengono chieste, ero in mezzo a questa situazione. Ad un certo punto non riuscivo più a sopportare tutta questa situazione, mi sentivo intrappolata, sentivo che tutti quelli che mi erano cari si fossero rivolti contro di me. Ogni parola detta male, ogni rimprovero fatto in buona fede per me era un’offesa, una mancanza di rispetto. All’epoca ero appena ritornata: mi mancavano i miei nonni, i miei parenti, i miei amici! Mi ero chiusa nel mio mondo e ho buttato la chiave della porta che ne garantiva l’accesso, mandavo vita tutti coloro che cercavano di avvicinarsi all’entrata. Ero diventata un’altra persona, ho messo una maschera, una maschera che non avevo mai messo prima, in più avevo paura di togliermela: preferivo essere una persona scontrosa, continuamente arrabbiata e vulnerabile. Anche se non sopportavo l’idea della nuova me, quando finalmente ho trovato il coraggio di richiuderla dentro di me per sempre, quando è venuta a mancare mi ero resa conto che mi manca, non la scontrosità, irascibilità, ma il fatto che nel suo piccolo era forte.

In più il fatto di qualche settimana fa, l’incontro sgradevole con un viaggiatore del treno che con il suo comportamento mi ha mancato di rispetto in quanto donna, mi rende ancora più vulnerabile. Prima non avevo paura di viaggiare in treno da sola, prima i viaggiatori non sembravano tutti dei potenziali “nonnetti pervertiti”. Quella persona ha innescato in me un meccanismo, quel fatidico aggeggio di continua paura, da quel momento provo ansia per ogni cosa, ho paura persino di uscire di casa da sola. L’altra sera sono andata a fare un giro e ho cominciato a vedere le cose che non erano vere: una donna (!) vista con i miei occhi è diventata un personaggio maschile di un film horror, sentivo continuamente dei passi, come se qualcuno mi stesse inseguendo. In più la nebbia presente quella sera, l’aria arancione che si veniva a formare grazie alle luci dei lampioni mi hanno fatto sentire un personaggio principale di un film. Era tutto così strano, mi giravo continuamente per assicurarmi che nessuno mi stesse seguendo, tremavo, ma non dal freddo, dalla paura. Prima questa cosa non mi era mai, e dico mai, successa. Adesso è cambiato tutto. Ogni tanto di notte non riesco ad addormentarmi, mi riaffiorano in mente i ricordi di quel giorno, mi assale la paura, non riesco a calmarmi. Altre volte mi sveglio in preda all’ansia, ma non riesco a comprendere il motivo di quest’ansia, perché come per incanto il sogno, l’incubo che ha provocato in me questa sensazione sparisce nel momento in cui apro gli occhi. Con tutta me stessa cerco di ricordarmi cosa fosse successo, ma la mia mente mi blocca l’accesso a questi ricordi.

Credo nel fatto che un giorno questa sensazione mi abbandonerà definitivamente, voglio che accada proprio questo! Non voglio per sempre provare timore nei confronti degli estranei. Di natura sono una persona timida, ma la paura in questo caso è diversa. Perché è la paura di farsi conoscere, paura di non essere accettato per la persona che sei, la paura di mostrare quello che provi agli altri. Nel mio caso alla timidezza si aggiunge anche il fatto di provare timore nei confronti delle persone che con conosco, perché non c’è nessuno che mi assicuri che queste siano diverse da quel viaggiatore incontrato sul treno. In più le parole non riescono a risolvere quel tipo di disagio, perché è un qualcosa che ti porti dentro, un qualcosa da cui non puoi scappare per quanto ci provi. In quel momento mi sono sentita un oggetto, veramente! Era come se lui mi usasse per provocarsi un piacere interiore, e non solo. Anche se sono scappata appena ho potuto, da quel momento in poi i viaggi in treno non sono più stati gli stessi, e credo che non lo saranno mai. L’aggravante di questa situazione era il fatto che dopo quel fatidico giorno continuavo ad incrociare quella persona in treno, ed a quel punto ritornava tutto: mi sentivo mancare l’aria, mi sentivo il cuore uscire dal mio torace; le gambe, le braccia, tutto il mio corpo tremava!

Un qualcosa di simile, mi è successo qualche anno prima in un parco comunale, ma allora ero in compagnia di altre tre ragazze, non ero più da sola, non dovevo più affrontare tutto questo da sola. In più potevo confrontarmi con loro, con quello che sentivano. Adesso, anche se ci provo faccio fatica a raccontare quello che è successo, mi mancano le parole per come mi sono sentita in quel momento, e se io stessa non sono capace di esprimere con le parole quell’accaduto, gli altri non riusciranno mai a capire quanto mi abbia fatto male: essere considerati un oggetto, il fatto che lui mi abbia mancato di rispetto, il disagio che ho provato in quel momento non potranno mai essere espressi in maniera adeguata, almeno finché mi sentirò ancora in “pericolo”.

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