mercoledì 28 maggio 2008

Ricordi, prima parte.


Tutto è cominciato come un gioco, come un mettermi alla prova.

Un giorno, precisamente un lunedì, mi hanno proposto di far parte di una squadra femminile di rugby. All'inizio pensavo fosse uno scherzo... Non mi sentivo la persona più adatta per questo tipo di sport; però adesso sono sicura che ho fatto una scelta giusta, l'esperienza del rugby mi ha profondamente cambiato la vita.
Quando ho deciso di accettare, di provare mi sono imposta di vivere al massimo questa esperienza, secondo dopo secondo, perché era ormai arrivato il momento di sconfiggere quel sentimento che mi paralizzava, che mi distruggeva dall’interno negandomi ogni possibile gioia della vita. Da subito mi sono infatuata di questo sport; dopo il primo allenamento ero veramente stupita, mi meravigliavo di me stessa, di come mi ero comportata.

La cosa che mi ha subito colpito è stato la spirito di questa disciplina, è un qualcosa che non può essere descritto con le parole, perché non sarebbero mai abbastanza...

L’unica nota negativa della mia prima esperienza nel mondo del rugby è stato proprio il fatto di dover abbandonare la mia ‘prima squadra’, di lasciare tutto quello che ho costruito in quei mesi: mi sono subito tornato alla mente il passato, quello che ho provato al momento dell’abbandono. Mi è stato detto che per poter continuare il mio sogno avrei dovuto cambiare squadra, lasciare da parte, almeno per qualche mese, le persone che mi hanno fatto amare questo sport e di cominciare una nuova esperienza. Il mio cuore si è fermato per un nanosecondo, ero in preda al panico: ricominciare? come ricominciare?!

L’infatuazione si è ormai trasformata in amore e non potevo più rinunciare, non riuscivo più a staccarmi da questo sport, ma volevo soprattutto provare l’esperienza della prima partita... Questa sensazione cresceva in me da quando ho dovuto guardare dalle tribune la prima partita delle mie compagne di squadra e non mi ha più abbandonato... Vederle giocare mi faceva sentire inutile, indesiderata, mi ha ferito!

Qualche settimana dopo, con la paura che mi faceva tremare la voce, ho deciso di chiamare l’allenatore della mia ‘nuova squadra’: mi ricordo che il cuore ha cominciato a battere in modo esagerato quando mi ha risposto, non sapevo che cosa dire, quali parole usare... Il panico ha cominciato a scorrere nelle mie vene e così ha continuato fino a che, qualche ora dopo, me lo sono trovato d’avanti: ero terrorizzata, semplicemente terrorizzata; quando abbiamo cominciato a parlare la mia voce ha cominciato a tremare più di prima, mi sentivo a disagio - adesso so che era solo la paura del nuovo, paura di cominciare un qualcosa...

Quando siamo arrivati al campo mi sono sentita molto meglio, il profumo dell’erba riesce sempre a calmarmi e tranquillizzarmi; entrata nello spogliatoio ho avvertito un’atmosfera accogliente, serena e da quel momento mi sono sentita sempre meglio. Ovviamente data la mia timidezza, che alcuni la avvertivano come presunzione, per tutto il primo allenamento sembravo un piccolo pulcino appena nato abbandonato in un campo di grano, ma questa cosa, almeno per quel che mi conosco, era perfettamente prevedibile. Però piano piano, giorno dopo giorno cominciavo ad allontanarmi sempre di più dal quel guscio che mi ha generato e volevo trovare una mia strada in mezzo a quel campo immenso che sembrava una e vera foresta a quel tempo, desideravo un mio posto dove poter crescere. La cosa che mi ha colpito di più è stata l’accoglienza del, ormai MIO, capitano: quando ci ha dato il benvenuto mi ha fatto sentire benvoluta, non riesco a spiegarne il motivo, ma è proprio questa la mia prima sensazione post primo allenamento. Le prime volte, primi giorni erano un modo per poter conoscere le persone che già facevano parte di quella squadra, lì ho capito che fare nuove conoscenze è la cosa più bella che possa capitare ad una persona. Nello stesso momento ho cominciato ad aprirmi, a farmi conoscere anche io, ed è ancora più bello: il potersi raccontare è come volare, ti fa sentire libero, leggero...

I sentimenti cambiavano, continuavano a trasformarsi, però la mia vita andava avanti, il mondo non aveva la minima intenzione di fermarsi e io non potevo rimanere per sempre immobile ed immersa esclusivamente nei miei pensieri... Si susseguivano nuovi eventi, tanti cambiamenti, ma infine ero io a cambiare, a vedere le cose con un’ottica diversa – completamente diversa! Gli allenamenti erano ormai diventati un appuntamento fisso: non riuscivo a stare lontana dal campo, mi sentivo più sicura sul campo da rugby e quella sicurezza mi dava gioia.

Ci concentravamo sulle prossime partite, sui concentramenti. Sapendo di non poter giocare nel concentramento più vicino mi impegnavo sempre di più durante la settimana per, in qualche modo, sopprimere quella sensazione dell’inutilità che ho provato non potendo giocare.

Il mio primo concentramento da cheerleader si è svolto a Treviso. Pensavo di essere in grado di fare solamente il tifo, di essere d’aiuto alle ragazze solo in quel modo, ma vedendole durante il riscaldamento si è aperta la vecchia ferita formatasi durante quel famosa partita della mia ‘vecchia squadra’. Ad un certo punto mi sono messa a piangere, sono rimasta sconvolta dal mio atteggiamento: ho dimenticato cosa fossero le lacrime, preferivo sembrare forte agli occhi delle altre persone, pensando che in quel modo avrei impedito loro di potermi ferire. Per la prima volta da anni ho sentito le lacrime scendere sul mio viso, in quel preciso istante ho compreso quanto questo sport sia importante per me, per la persona che sto diventando. Guardavo giocare le ragazze, ero felice per loro, soprattutto per le due ragazze che quel giorno hanno giocato la loro prima partita in assoluto. Nel profondo del mio cuore provavo l’amarezza, delusione, mi immaginavo di giocare con loro, ma quel giorno il sogno non si era avverato (e purtroppo avrei dovuto aspettare ancora più un mese per poter scendere in campo per la prima volta...). Quella sera infilandomi sotto le coperte ho pensato che tutti gli eventi dei ultimi mesi mi impediscono di essere felice, riescono solo a formare un abisso, un vuoto all’interno del mio cuore - quel giorno volevo tornare nel mio guscio, volevo scomparire... Stavo veramente male, la delusione ha cominciato a consumare tutte le mie forze, ad invadere i pensieri, mi ero arresa... Però la cosa che mi ha fatto soffrire di più nei giorni successivi era il fatto che non riuscivo a dare il meglio di me in allenamento: il rugby era l’unica cosa che sentivo vicina, che in qualche mi proteggeva dal mondo. E’ difficile da descrivere, ma in quel momento era proprio il rugby ad identificarsi con quel tanto desiderato guscio.

Dopo due settimane ho ricevuto un altro colpo: un giorno prima del concentramento, in cui questa volta avrei dovuto giocare, mi è arrivata la notizia che nemmeno questa volta avrei potuto realizzare il mio sogno. Sono crollata, quella volta non avevo veramente più le forze: ho cominciato anche a pensare di abbandonare il rugby, di ritornare definitivamente il quel mio castello con le alte mura, in quel posto pieno di sofferenza, ma pur sempre il luogo più sicuro che sono riuscita a costruirmi... Dopo aver letto il messaggio le lacrime hanno riempito i miei occhi, ma ho impedito loro di scorrere nuovamente lungo il mio viso, non volevo più piangere, volevo solo tornare nel mio mondo abbandonando nuovamente tutto ciò che mi ero costruita. Questa era la scelta che mi sembrava meno dolorosa, in quel momento era la più giusta! Il giorno delle mia seconda partita da cheerleader, durante il riconoscimento, si è spezzata un’altra speranza, non ho potuto più tenermi dentro le emozioni: sono scoppiata in lacrime, non riuscivo a parlare. L’unica decisione che ero in grado di prendere era quella di togliermi subito quella divisa, non la sopportavo più, non la volevo più, per un istante l’ho anche odiata! Sono corsa negli spogliatoi, ma in quel momento le ragazze mi hanno fermato, hanno provato di consolarmi, mi hanno abbracciato. Con quel abbraccio ho sentito il calore della MIA squadra, ho finalmente capito cosa vuol dire farne parte.

Però non riuscivo lo stesso a non sentirmi delusa, ferita e in un certo modo inutile; a momenti non avevo nemmeno la voglia di guardare la partita. Capisco benissimo le ragioni che mi hanno spinto a comportarmi così quel giorno, ma questo non giustifica assolutamente il mio comportamento nei confronti della squadra, dovevo sostenerle ed invece mi trovavo in un’altra dimensione, ero presa dai miei pensieri, un po’ anche dalla rabbia. Quel giorno ho deluso soprattutto me stessa!

Neanche una settimana dopo, quando ho finalmente preso in mano quel cartoncino azzurro che mi dava il permesso di giocare, quando ho letto il mio nome, la mia data di nascita, ho provato dentro di me una gioia immensa, indescrivibile!

Solamente alla fine del mese mi è stato permesso di giocare... Dopo concentramenti passati a bordo campo, dopo tutti quei sentimenti, dopo l’angoscia, dopo i pensieri negativi che mi hanno fatto dubitare di me, delle mie capacità, potevo finalmente mettermi alla prova...

domenica 25 maggio 2008

Il mare

E' strano, non riesco a trasformare i miei pensieri nelle frasi di senso compiuto, ci sono troppo cose che mi frullano nella mente, non si vogliono fermare, non so come fermarle per poter esprimere quello che sento in questo momento. L'ultima volta che mi è successa una cosa simile ero semplicemente troppo felice per poter scrivere... Però adesso non lo sono affatto, non so nemmeno come potrei descrivere il mio stato d'animo, vi è troppa confusione, ci sono troppe cose che mi turbano, troppe che mi distraggono. Vorrei poter descrivere tutte le bellissime emozioni di ieri, di quella fantastica giornata di ieri, del mare, del sole e delle nuvole che mi hanno fatto innamorare di quel stupendo panorama che mi trovavo davanti agli occhi. Era come vivere un sogno, era come se non ci fosse nessuno tranne me in quel luogo... Vorrei che quell'attimo fosse eterno, vorrei provare ancora tutte le emozioni che mi hanno invaso il cuore quando mi sono fermata ad ammirare quella sottile linea dell'orizzonte.

sabato 17 maggio 2008

Confusione...

Sarebbe proprio bello se fossi qua, qui vicino a me... Non ti immagini neanche quanto mi manca la tua presenza, quanto vorrei sentirmi sicura tra le tue braccia. In questo momento ho proprio bisogno di te, ho bisogno che tu mi aiuti in questa situazione; non ho più forze, non ci riesco ad affrontare questa storia senza di te... Mi conosci meglio di qualunque altra persona, sai che cosa voglio, sai benissimo come sono fatta. Con te non mi devo giustificare, non devo fingere di essere un'altra, con te fratellino mio posso essere quella ragazza spensierata, felice, ma anche malinconica... So che ci sarai sempre per me, so che saprai consolarmi e consigliarmi...
Però io ho bisogno di te adesso! In questo preciso momento! E tu sei a centinaia di chilometri da me... Questa storia mi sta distruggendo dall'interno. Dentro di me vi è solo la delusione che piano piano si trasforma in rabbia, una vera e propria rabbia... Perché mi è successo tutto questo? Perché proprio a me?